lunedì 17 maggio 2010

L'invisibile (vedi sviluppi n° 2)

Non è facile concepire mentalmente, tanto meno tradurre in parole, che cosa sia la luce emanata dal divino poiché, diversamente dalla luce concretamente visibile che percorre le vie della percezione sensibile per raggiungere le facoltà conoscitive, essa è accessibile soltanto all’interiorità. E questo non significa che il soprannaturale sovrasti il naturale secondo un modo di intendere semplicistico il quale marca la differenza tra due realtà diverse, la terrena e la celeste. Si dovrebbe parlare, più che di due realtà, di due piani di realtà: il livello comune di cui consiste il visibile non viene soppresso, ma può rendersi trasparente, tanto da evidenziare l’ invisibile, tutt’altro che etereo, PIÙ REALE DI OGNI APPARENZA, presente nelle profondità di tutto il creato e nell’abisso del cuore umano.
La dimensione della mistica è nell’intersecarsi del desiderio profondo che energetizza di vita la creazione, e che si fa, nell’essere umano, desiderio di Unità, di Infinito, di Totalità. Tale aspirazione convoglia le potenzialità umane verso l’Unità totale, che ha in sé la ragion d’essere e la partecipa alle sue creature. Da qui l’ineliminabile concetto di singolarità della persona, che non sarebbe mai tale senza il rapporto con altre singolarità plurali, tutte ugualmente convergenti verso l’Unità di Dio, non statica né astrattamente Universale, bensì in-rapporto, quindi anch’essa personale. E’ come se il «se stesso personale umano», nell’affermare la sua singolarità al di là della caducità propria della creaturalità, fosse investito del compito di dare significato a questo rapporto e, come afferma un filone della mistica, allo stesso Dio. Si sa, Dio è al di là dei suoi nomi, ma l’amore è il simbolo più adeguato per definire l’Essere di Dio: fino a poter affermare che Dio è Amore (come non ricordare la “Deus caritas”?). Il binomio Creatore-creatura è palestra di amore in cui i due SI CON-FRONTANO E PERCIÒ POSSONO AMARSI: finitamente come può la creatura, infinitamente come può Dio, sicché l’amore della creatura si infinitizza e l’amore di Dio si finitizza.

La scorciatoia delle apparizioni crea sconcerto in chi per sete di verità non si limita al contentino di alcuni fenomeni straordinari circoscritti nel tempo e in luoghi (resi) sacri. Soprattutto è motivo di disorientamento la semplificazione con cui si fa presto a ritenere reale ciò che si fa visibile e tangibile. Si richiede una disanima un tantino più approfondita per distinguere la vera illuminazione dall’epifenomeno delle apparizioni; nelle quali sono, o almeno possono esserci, elementi propri della mistica, a patto che si espunga l’alone del fascinoso. Per fare una tale cernita ci va il lungo tirocinio di un’incessante attenzione a cogliere lo straordinario nell’ordinario, a non scambiare la luce soprannaturale con quella che si può imprimere nei centri nervosi o nei riflettori; ci va soprattutto un atteggiamento discepolare, rivolto a Colui che abita il ‘fondo’ della propria anima, se sgomberato dai falsi idoli delle mediazioni (tra cui possono annoverarsi le stesse apparizioni!), le quali possono essere utili momentaneamente, ma diventano ingombranti se impediscono la visione intimamente diretta dell’Invisibile. Perché LA VERITÀ E’ DENTRO DI NOI.

Nei salmi si parla della luce del divino, la quale sfida la tenebra e la fa brillare: “Nella tua luce vedremo la luce” (Sal 36, 10). “Nemmeno la tenebra è oscura per te; / e la notte qual giorno risplende” (Sal 139, 12). * Giovanni della Croce parla di una luce la quale infiamma d’amore e determina un desiderio che invoca il ritorno della visione soprannaturale, senza paura di morirne fisicamente: “Il mio cuore si infiammò; i miei reni si cambiarono, io fui annichilito e non seppi” (Cant. 72, 21-22); “Scopri la tua presenza, / mi uccida la tua vista e tua bellezza, sai che la sofferenza / di amore non si cura / se non con la presenza e la figura” (Ivi, strofa 11). * Interessante l’osservazione, tutta femminile, di E. S. Jonson: il mistico rapporto “ha una profonda affinità con l’esperienza delle donne”, le quali sono disponibili a vedere “Dio e il mondo esistere in una relazione di amicizia, dove ciascuno dimora nell’altro”. La stessa Autrice si richiama al dinamismo di tale esperienza attraverso le parole di un’altra donna, Ntozake Shange che si inventa un linguaggio su Dio al femminile: “HO TROVATO DIO IN ME STESSA, E L’HO AMATA, L’HO AMATA ARDENTEMENTE” [Elisabeth S. Jonnson, Colei che è – il mistero di Dio nel discorso teologico femminista, Queriniana, Brescia 1999] * Simone Weil rimarca la distanza tra visibile ed invisibile per sollecitare uno sguardo attento, nella consapevolezza che Dio è proprio nella distanza, in quanto non schiaccia la realtà concreta con la sua incombenza, ma la lascia nella sua diversità per permetterle autonomia: “La necessità è proprio la distanza dal divino … lo schermo posto tra Dio e noi perché possiamo essere”. “Dio non può essere presente nella creazione che sotto forma di assenza” [Simone Weil, Quaderni, Adelphi, 1982]

* Karl Rahner spiega: “rivelazione non significa che il mistero sia superato dalla gnosi concessa da Dio, e neppure dalla visione diretta di Dio; al contrario, è la storia dell’approfondirsi della percezione di Dio «come» mistero” [Karl Rahner, A proposito del nascondimento di Dio, in Nuovi Saggi, Paoline, Roma 1978)]. * Anche la nostra Angela Volpini afferma di aver percepito nelle sue estasi la contemporaneità tra passato, presente e futuro, tanto da vedere, non due realtà, ma una sola “come un essere umano può conoscerla e può gustarla, con i suoi sensi, con la sua ragione, con il suo desiderio”; il che mostra a chiare lettere quanto le apparizioni siano occasione per riconoscere il lampeggiare di una percezione profonda della realtà, al di là delle certezze provenienti dalla percezione sensibile; realtà dove l’eterno è nel tempo, l’Invisibile è nel visibile, e viceversa.

Ausilia