L'esperienza del corpo di Maria in Angela Volpini

Prefazione del libro di Angela Volpini: "La madonna accanto a noi" (Reverdito Editore)

Introdurre a questo libro di Angela Volpini è un compito stimolante, ma non facile. Questo libro infatti è un laboratorio linguistico, è una operazione sul linguaggio. Se si volesse fare la lista delle parole chiave, apparirebbe chiara la tensione a cui le parole sono sottoposte, sollecitate ad andare oltre l'uso corrente nel discorso. La parola chiave è certamente "creare" anche nel composto "autocreare" che è di per se stesso caratteristico del pensiero della Volpini. Questo testo ha al suo centro il racconto di una visione della Madonna. Ma niente avvicina questo testo a quelli cui siamo abituati. Nel resoconto stesso della visione non è l'oggetto del racconto ciò che sta in primo piano: è l'esperienza della veggente.

Non vi è nulla di simile qui ai racconti delle più note apparizioni mariane, che descrivono l'apparizione come descriverebbero qualsiasi altro avvenimento: La Volpini ci descrive invece le modificazioni che avvennero in lei nel contatto reale con la mano e le braccia di Maria. In questo il racconto sembra piuttosto quello di una esperienza mistica che di una apparizione mariana: i mistici infatti descrivono sempre le loro esperienze che abitualmente non sono accompagnate da visione. E anche quando lo sono, quello che più conta è l'effetto che esse hanno sulla persona che le esperimenta.

L'autenticità di una esperienza mistica è misurata abitualmente dalle modificazioni che esse producono sul soggetto.

Nel caso della Volpini ci troviamo di fronte a un caso singolare: al centro del resoconto sta una esperienza tattile: il modo in cui viene descritta è nuovo e singolare. E' l'esperienza del corpo della Vergine come di un corpo cosmico. Si tratta dun-que della esperienza della Vergine in quanto corpo glorioso.

Le apparizioni avvengono tra il' 47 e il' 56: e nel' 50 Pio XII proclama il dogma dell'Assunta. Le apparizioni di Casanova hanno rispetto alla proclamazione di questo dogma il medesimo ruolo che quelle di Lourdes hanno rispetto alla Immacolata Concezione. Vale la pena di ricordare che anno fosse quel '50. La cortina di ferro staliniana, il più sistematico e perverso dei totalitarismi, era sceso sul centro Europa. Le Chiese ne venivano sistematicamente distrutte. Ma in quell'anno avvenne qualcosa di più minaccioso. Le truppe comuniste della Corea del nord invasero vittoriosamente la Corea del Sud. Il generale Mac Arthur, che aveva ottenuto con la bomba atomica la resa del Giappone, di fronte allo spettacolo delle truppe americane in rotta e all'aperto intervento cinese, chiese al presidente Truman l'autorizzazione a usare la bomba atomica oltre il fiume Yalu: cioè in territorio cinese. In quei giorni, e per due anni, sino alla morte di Stalin , la terza guerra mondiale, anche in forma nucleare, sembrò inevitabile. Truman, uno dei più grandi presidenti americani e l'unico che gli europei debbono ricordare solo con sentimenti di riconoscenza, rispose chiedendo le dimissioni del generalissimo.

Quando Pio XII proclamò il dogma dell'Assunta, la situazione del mondo e della Chiesa erano ben più tragici dei tempi di Pio IX, che definì il dogma dell'Immacolata Concezione e quello della infallibilità pontificia. Certamente nelle intenzioni del papa, il corpo glorioso della Vergine era la speranza riaffermata che il corpo dell'umanità, vulnerata dalla violenza dei totalitarismi e delle guerre, sarebbe stato salvato. Allora questa sembrava una speranza impossibile. Aveva in se una carica d'allarme maggiore di quella che hanno oggi insieme il problema dell'ambiente, quello del debito estero del Terzo Mondo, e quello dell'Est messi insieme. Di fronte alla radicalità della sfida che il nucleare militare introduceva nel mondo, di fronte alla permanente violenza totalitaria, il corpo glorioso della Vergine e quello dolente dell'umanità apparivano come un solo corpo. Questa drammatica congiuntura va posta al centro dell'esperienza Volpini, in cui domina il rapporto tattile con il corpo di aria e la percezione della dimensione cosmica di questo corpo. Tutto il creato, tutta l'umanità vi erano contenuti: e la veggente poteva sperimentare a un tempo il carattere fisico della presenza della Vergine, la sua fisicità: e, al tempo stesso, il carattere cosmico del corpo di Maria la sperimentabilità, da parte della veggente, sia del corpo fisico che del corpo cosmico della Vergine.

Per dire la sua esperienza, Volpini deve percorrere nuovi registri di linguaggio: quando mai la stessa mistica cristiana ha svolto una dottrina sull'esperienza del corpo glorioso? Anche i resoconti mistici più "carnali" come lo scambio dei cuori o l'allattamento, hanno descritto queste esperienze come se si trattasse di visioni o di immagini, non di veri contatti tra corpi. Le pagine qui scritte sono i primi resoconti del rapporto tra un corpo glorioso, quello di Maria, e il corpo della veggente. Il testo di Angela Volpini indica la dimensione cosmica: "avvertivo come un insieme convergente di individui creativi che mi costituivano e che avevano finalizzato il loro essere a me, alla mia persona che li trascendeva nel senso e nello stesso tempo dava loro significato e identità. "E' evidente che Volpini riceve nel suo corpo l'esperienza del corpo glorioso della Vergine: esso comunica dunque con il suo corpo, che è coinvolto nella gloria, entra nella pienezza umana della Divino- umanità. E questo corpo è anche un corpo fisico: "ricordo la felicità della mia mano sinistra che era la mia felicità, ma anche la sua soltanto, in quanto potevo contemplarla e conoscere il senso che essa provava in se'. Il guizzo delle mie cellule che erano me, ma che allo stesso tempo avevano la loro autonoma individualità. Le sentivo come me diffusamente, ma anche come loro: in questo caso la registrazione del loro movimento autonomo era contemporaneo alla mia complessità unitaria che costituisce il mio corpo, ma distinto. I sensi poi si dilatavano fino a essere contenuti tutti cinque in uno a rotazione. La vista e l'udito sentivano e vedevano il mondo con me e le mie relazioni con il mondo dentro....Essi diventavano altresì gusto, tatto e profumo...Così si comportavano il gusto, l'olfatto, il tatto. Essi trasformavano in immagini e suoni tutto ciò che toccavano, odoravano, gustavano".

Volpini non conosceva la dottrina dei sensi spirituali, classica nella mistica cristiana dopo Origene e Agostino nemmeno quando iniziava, anni dopo le visioni, lo sforzo per trasformare l'esperienza in linguaggio. Il resoconto avviene nella maturità linguistica acquisita durante una vita lunga perché iniziata precocemente. Colpisce qui sia il resoconto dell'esperienza, sia il linguaggio con cui essa è narrata. Sarebbe interessante notare gli antecedenti di questo linguaggio sia nei racconti mistici precedenti, che nella cultura contemporanea. Ambedue sono notevoli: infatti una dimensione corporea è presente in tanti racconti mistici di ogni tempo, ma Volpini dispone di un registro per significare il corpo che è assai più ricco di quello posseduto dagli estensori dei precedenti resoconti. La differenza tra corpo e cellule, il termine di complessità usato in senso proprio indicano un aggiornamento che non era dato agli autori di racconti mistici che disponevano solo dei termini del linguaggio biblico o ecclesiastico. Non vi è dubbio che il linguaggio di Volpini tocchi un proble-ma aperto nella teologia contemporanea: quella della diversità del linguaggio sulla immortalità dell'anima e quello della resurrezione della carne.

Volpini non usa mai il termine "anima" ma offre un linguaggio al tema della resurrezione del corpo. E' possibile una teologia del corpo glorioso, delle sue dimensioni fisiche e di quelle cosmiche? Essa è necessaria per una dottrina legata al corpo storico, pas-sibile, risorto, ecclesiale e cosmico del Cristo: ma essa è ancora un terreno in larga parte inesplorato. Né il Vecchio né il Nuovo Testamento hanno una dottrina della immortalità dell'anima. Eppure sia Paolo che Giovanni conoscono una contestualità tra il presente corpo fisico e il corpo glorioso. Paolo chiedere di essere dissolto e stare con Cristo: come? Invano si cercherebbe in Paolo un solo accenno alla immortalità dell'anima: questa dottrina diviene classica nella teologia e nell'insegnamento ecclesiastico dopo Origene. Per Giovanni, chi crede in lui ha sin da ora la vita eterna e perciò risorge nell'ultimo giorno. Vi è un rapporto tra il corpo del Risorto e la condizione di coloro che in lui muoiono, che li vede come presenti nel corpo fisico e cosmico del Cristo glorioso.

Lo scritto della Volpini, si situa all'interno di questa problematica oggi abbondantemente rimossa. Anche se il laboratorio linguistico di Volpini si apre molti anni dopo la fine delle apparizioni mariane, non vi è nel mondo che la circonda, soprattutto nel mondo teologico ed ecclesiastico, un lessico capace di influenzarla. L'autenticità del ricordo qui è proprio testimoniato dalla novità del pensiero: un rapporto che in genere funziona in senso contrario. Il linguaggio di Volpini, a un tempo immaginifico e faticoso, ricco di ritorni su se stesso e di aperture improvvise, proprie del pensiero che si cerca proprio nella scrittura, indica piuttosto il fatto che quella memoria ha agito in Volpini come un criterio di selezione delle parole, dei pensieri e delle immagini.

Come ogni mistica, Volpini ha il problema di dire in che senso Dio sia l'uomo e in che senso l'uomo sia Dio. Questo è un problema consustanziale alla cristologia, ma evidentemente segna il volto stesso della teologia e della antropologia cristiana. E tuttavia nel mondo stesso dell'Islam il linguaggio dei grandi mistici, che raggiunge il suo vertice in Al-Hallaj, va nella medesima direzione.

Maria è il luogo in cui Volpini incontra questo problema. Maria è il vertice della condizione umana in quanto essa è sin dall'origine segnata dal volto divino. Volpini torna d'istinto al testo del Genesi, dell'uomo e della donna come immagine di Dio. Diciamo d'istinto perché essa non lo cita mai. Ma questo è caratteristico del suo libro: non cerca mai di giustificarsi innanzi al linguaggio teologico ed ecclesiastico. Vorremmo dire che semplicemente lo rapisce. In Maria ha letto la sua teologia: essa incontra la teologia cattolica, ma non si fonda mai su di essa. Del resto, è possibile creare giustificandosi? E' possibile creare nascondendosi: l'esempio più eminente è Teresa di Lisiex, una delle figure più innovatrici nel linguaggio della spiritualità cattolica. Ci vollero due guerre mondiali e un papa mistico come Pio XII perché il messaggio della divinizzazione dell'uomo e della assoluta misericordia di Dio apparissero dietro il discreto e abile ciarpame che aveva costruito la "storia di un'anima". Volpini vive in altri tempi: e sceglie una via opposta, anche se, in sostanza, coincidente. Essa costruisce il suo linguaggio: e usa tutti gli altri linguaggi, compreso quello ecclesiastico, come mattoni di costruzione della sua casa.

Ella paga un prezzo duro per la sua scelta: dopo i giorni gloriosi del Concilio e quelli ardenti del '68, Volpini si chiude in Casanova e accoglie quelli che la cercano. Medita la sua visione nel suo cuore, la arricchisce dandole le parole che a lei vengono det-te dalle più diverse, eppure anch'esse quanto convergenti, forme di condizione umana.

Il suo punto centrale è la dimensione divina dell'umano in quanto tale: per lei l'uomo è più che creatura. Non è questa la sede per ricordare quanto questo tema sia stato centrale per la teologia conciliare e post conciliare. Pensare la dimensione divina dell'uomo in quanto tale è oggi la condizione di pensabilità del cristianesimo: esattamente come il pensare l'inevitabile coinvolgimento del Dio uno e trino in una creazione che lo esprimesse, ma sotto il segno della radicale differenza. E' raro trovare questi pensieri nella teologia rattrappita che è stato l'ultimo esito della reazione al Concilio. Il linguaggio del magistero papale diviene sempre più una serie di veti attorno al corpo dell'uomo: segno anche questo della inevitabile rivoluzione del corpo nella Chiesa del nostro tempo.

Tuttavia la negazione del corpo e della donna, se manifesta la centralità del problema, rimane egualmente il rigetto del suo significato. Non si può pensare il riferimento inevitabile di Dio all'uomo e l’ugualmente inevitabile riferimento dell'uomo a Dio, senza fare del corpo umano il luogo della comunicazione. Può questo pensiero nuovo o irrilevante per una Chiesa che, come la cattolica, ha fatto della presenza reale della persona divina di Cristo e della sua realtà umana il centro della sua Eucarestia, il nesso inevitabile tra il corpo reale e il corpo mistico di Cristo, termini tra di loro intercambiabili per indicare Chiesa e Eucaristia?

Maria è per Volpini il volto, la persona dell'umanità in quanto tale: della dimensione umano-divina che è l'essenza dell'umanità.

E qui viene il più singolare abuso linguistico di Volpini, quella sua singolare attitudine a prendere le parole dove si trovano e dar loro un nuovo senso in riferimento al suo pensiero. Significativo è il senso in cui Volpini intende le parole del dogma sulla Immacolata Concezione di Maria.

Il dogma intende per immacolata concezione di Maria la sua preservazione dal peccato originale in virtù dei meriti di Cristo.

Immacolata concezione di Maria è nel dogma un atto puramente divino: il genitivo "di Maria" è qui un genitivo oggettivo. Nel linguaggio di Volpini è un genitivo soggettivo: indica il gesto con cui Maria ha espresso nella sua libertà la dimensione divina dell'umanità come puro amore creativo. In quanto puro amore creativo Maria corrisponde al Padre. Il Cristo, uomo e Dio, è il frutto di questi due amori creativi. Come si vede, per Immacolata Concezione, Volpini intende in realtà dare pieno senso umano alla maternità divina di Maria. La Vergine non fu solo la madre portatrice del Figlio: il suo atto di amore umano-divino era così totale che esso si incontrava, in umile parità, con l'amore creativo del Padre, che coronava in Gesù Cristo l'amore effuso sin dalle origini del cosmo. Questo amore creatore riceveva in Maria la risposta che a esso si addiceva: era un puro amore del divino che corrispondeva al puro amore divino per l'umano: quell'amore divino per l'umano che è espressa splendidamente nella Trinità di Rubliov. E quel dolore divino che è espresso in modo così forte e dolce nel Padre con il Figlio morto, che ritrova nel Padre l'iconica tradizionale della Madre di Dio, della Pietà.

L'Immacolata Concezione è, nel linguaggio di Volpini, la dimensione creativa della Vergine: il senso in cui essa può essere detta non metaforicamente Madre di Dio. Questa è certo una mariologia alta, che suppone una lettura del dogma di Efeso che vada anche oltre Calcedonia. Questo è un problema che la Chiesa bizantina ha affrontato, nei concili successivi all'Efesino, sino al Niceno secondo. "Madre di Dio" è il titolo proprio della dottrina e della pietà mariana nelle chiese derivate da Bisanzio e da Alessandria. Esse non conoscono Agostino e non hanno mai accettato la dottrina agostiniana sul peccato originale. Giuliano d'Eclana non aveva tutti i torti quando trovava nella dottrina agostiniana della dannazione della natura umana all'inferno un ritorno in vecchiaia del manicheismo giovanile di Agostino. Veramente l'Ipponense può essere ancora per noi il "dottore della grazia", cioè il maestro del pensiero cristiano sui rapporti tra il divino e l'umano in quanto tali. E' forse ironia pensare che proprio una intelligenza profonda del mistero della maternità divina di Maria potrebbe liberare il cattolicesimo e tutta la Chiese d'Occidente dal terribile peso che è stata sulla cultura e sulla vita dell'Occidente la dottrina agostiniana sul peccato originale. E il testo di Volpini ci pare una testimonianza di questa ironia appunto perché risolve il tema dell'Immacolata Concezione in quello della Madre di Dio.

Nel testo di Volpini è la maternità stessa, il ruolo della donna nella maternità a preparare a tutti i livelli la maternità della Madre di Dio. Ciò può sembrare molto lontano dai sentimenti del movimento delle donne del nostro tempo: e potrebbe anche essere. Oppure potrebbe indicare un punto per questo movimento per non trasformare l'omologazione della donna all'uomo in una guerra dei sessi o a una separazione tra dimensione sessuata e dimensione umana. Nel testo di Volpini la diversità dei ruoli storici tra uomo e donna assegna alla donna la parte migliore perché ne fa la figura nell'ordine antropico del compimento mentre affida all'uomo il compito della fondazione, cioè la distinzione tra uomo e natura fisica. Ma questo appartiene all'ordine antropico naturale, da cui Volpini distingue la storia, in cui gioca la dimensione libera e creativa della persona. Volpini pensa la distinzione tra soggettività e persona: pone l'una sul piano dell'ordine fisico e naturale, nel punto cioè in cui l'uomo si radica e si distingue al tempo stesso dalla storia delle speci. E pone l'altra sul piano della dimensione creativa, in cui l'uomo cerca di assumere a livello di coscienza la storia della natura che l'ha preceduto. Il cambiamento qui avviene per il fatto che l'uomo inizia a trasformare la natura in coscienza, cioè ad assumerne il governo: qui Volpini si distingue da un ecologismo radicale o reazionario, comunque lo si voglia definire, che non distingue natura da storia e fa della storia il corrompimento della natura. La distinzione tra soggettività e persona pone Volpini in condizione di definire la sua posizione rispetto sia al movimento ecologico sia dinanzi al movimento femminile.

Siamo di fronte a un laboratorio linguistico che cerca di esprimere la posizione di sistema innanzi a tutte le varianti che esso abbia di fronte. Il testo sente ovviamente nella seconda parte sia il peso che il fascino della ricerca fatta per dir così in pubblico, senza protezioni culturali.

Il lettore sarà forse affaticato dinanzi a questo stile teso, che ha zone di pausa e di scansione in momenti in cui il linguaggio raggiunge, per brevi tratti, la libertà della poesia. Ma ciò è raro, perché il testo è l'elaborazione di un sistema: la ricerca vuole comprendere e ordinare razionalmente, con la forza dell'intuizione e del riordinamento della domanda sulla risposta, che trascende e ingloba la domanda in un nuovo orizzonte.

Ma il lettore sarà giunto a questa parte del libro dopo il fragrante racconto della visita di Volpini alle altre apparizioni mariane. Si delineano qui i veggenti, tutti confiscati in un ambito devozionale, che finiscono per rendere insignificante la nostra esperienza. E qui Volpini si domanda perché i veggenti non facciano come lei, cioè interpretino ciò che hanno visto. Per Volpini in realtà tutte le esperienze mariane hanno la medesima figura e il medesimo scopo: quello di insegnare agli uomini la dimensione divina dell'uomo e la dimensione umana di Dio.

Ma perché è possibile che i veggenti siano come emarginati e espropriati ora dalla gerarchia ora dagli stessi fedeli, che cercano un messaggio che li rassicuri, senza indurli a entrare nella dimensione della persona, che è la capacità di stabilire relazioni in ogni direzione, nell'aprirsi a ogni problema?

Volpini cerca di delineare un atteggiamento di creatività, cioè di assunzione dei problemi del mondo storico e di quello naturale da parte dell'uomo. E l'atteggiamento creativo è quello che sta nel centro delle contraddizioni, che le pensa come proprie. In un tempo in cui sembra che l' unica dimensione che impegni il cristianesimo sia quella delle opere buone, come se la Chiesa dovesse essere un insieme di Caritas locali e universali, Volpini rimane ferma nel sostenere che al cristiano è soprattutto necessario pensare; al cristiano perché possiede le parole della rivelazione.

Rivelazione: di tutte le esperienze diversa dalla sua, quella che l'ha più colpita è quella della Vergine a Bruno Cornacchiola. A lui la Vergine si manifestò come Vergine della Rivelazione, che abita la Trinità. Anche questa esperienza avviene nel ' 47, il medesimo anno di Angela Volpini. Quale forte espressione: "sto nella Trinità". Anch'essa è nella luce dell'Assunzione di Maria. Eppure quando mai questa espressione è stata pensata. Cornacchiola sembra segregato dal mondo. Che singolare storia per chi aveva sperimentato la Vergine sotto il titolo di Vergine della Rivelazione. Volpini protesta contro l'irrilevanza delle interpretazioni, la loro sistematica riduzione al già noto, all'ovvio, a ciò che non fa problema. Ma la fede fa problema. Essa è un messaggio rivolto al pensiero, mentre viene inteso abitualmente come legge rivolta all'azione, alla volontà. In ciò stava appunto il Vecchio Testamento, che trapassa nel Nuovo con radicali modificazioni. Una di esse è il primato della verità. E la solenne affermazione di Gesù innanzi a Pilato nel Vangelo di Giovanni.

E' per questo che Volpini compie uno sforzo di pensiero: perchè è cristiana e vive nella luce del Nuovo Testamento. Questa misteriosa parità dell'uomo e di Dio: del Dio trascendente di Israele, che l'Islam sentirà con passione di adorazione e d'amore come l'Unico. Nel Vangelo Gesù insegna questa parità: siate perfetti come il Padre vostro. Il Padre è la misura dell'uomo: per questo l'uomo è Figlio nel Figlio. Volpini vede in Maria il volto umano di questa parità. O meglio: il volto divino dell'uomo. Gesù è altro: è il volto umano di Dio. Ed è le due cose assieme. Nato dal Padre, nato dalla Madre. Unigenito per l'uno e per l'altra. E però, appunto per questo, primogenito di ogni creatura. Unico e perciò universale. Unico e perciò infinitamente comunicabile. Ora il lettore ha il testo dinanzi. Lo troverà dolce e ricco all'inizio, il cammino si farà più erto quando il laboratorio linguistico di Volpini si mostrerà nella sua figura di cantiere aperto a ogni domanda e, nel linguaggio di questo testo, ad ogni desiderio.

Gianni Baget Bozzo.


1 commento:

Ausilia ha detto...

Ho molta stima per il rapimento provato da Angela alla presenza corporea di Maria. Temo però che lettori non navigati nel campo della mistica usino il suo linguaggio in senso letteralistico.
Due brevi sottolineature:
a) l'accentuazione sul modo autonomo e creativo in cui si pone il soggetto personale rispetto a Maria (e rispetto a Dio), potrebbe incentivare un (giusto, ma malinteso) protagonismo della creatura, la quale, essendo chiamata all'amore, la realizza nella reciprocità e quindi su un piano di eguaglianza: a patto di non dimenticare di essere dalla parte di chi riceve il dono e che, proprio per questo, può a sua volta donare a Dio. "Dio ci ha amati per primo".
b) Bisogna stare attenti a non mettere in soffitta la mortificazione dell'io che l'ascetica cristiana ha indicato ed indica come via maestra per raggiungere l'unione mistica o semplicemente per far risplendere nell'umano il divino. Personalmente ritengo che sarebbe un grosso abbaglio pensare che ci sia stata una SOSTANZIALE transizione nell'antropologia cristiana; è cambiato semplicemente un paradigma culturale, e quindi di pratiche, di modi di credere, di dire, anche di pensare. Non è cambiato il senso profondo che si deduce dalle Scritture, se LETTE con l'umiltà del cercatore di verità, il quale si affida al vero Maestro, lo Spirito. (Ne parleremo ancora....).